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Data: 15/04/2010

Munari, il medico che cura gli anziani con la danza-terapia

Da sinistra: Claudio Alberto Munari, Nuccia Spagnolo e Giacomo Coppola

Da sinistra: Claudio Alberto Munari, Nuccia Spagnolo e Giacomo Coppola

 

"Le pillole da sole non servono, occorre mantenere allenata la mente". Ecco allora che, insieme a un team di esperti, ha avviato una nuova terapia, capace di fare leva sulle emozioni per sentirsi vivi

Rovigo, 8 aprile 2010. "Tornare a fare il medico dopo lo stop di Pasqua è come spararsi un colpo alla testa. I pazienti fanno il terzo grado, mille domande! Ci vuole un po’ per ingranare. E a fine giornata se ne esce cotti, come dopo un interrogatorio! Ma è così divertente...!". E’ un fiume in piena Claudio Alberto Munari, 64 anni, cardiologo e geriatra di Badia Polesine, con due grandi passioni: gli anziani e la danza. Due passioni che il dottor Munari è riuscito a far incontrare, coniando una nuova cura: la psicodanzaterapia. Un nome che sembra quasi uno sciogli-lingua, ma che cela dietro di sé una disciplina innovativa per il benessere delle persone sole e ammalate.

Dopo un’intensa giornata lavorativa alla casa di cura di Villabartolomea a Verona, dove lavora da qualche giorno, il dottor Munari non si tira indietro. E, fra una battuta e qualche aneddoto divertente, racconta come dovrebbe essere, secondo lui, il futuro della geriatria.

"Molto
spesso si ha la pretesa di curare solo con le pillole e con le flebo. Si tratta di cose fondamentali, senza dubbio. Ma non sufficienti: oltre alla parte fisica, c’è un universo psichico che deve essere rivalutato e recuperato. La medicina tradizionale da sola non può fare niente se attorno non c’è un ambiente sano, vivo, luminoso. Le mie convinzioni partono proprio da qui: dal fatto che la cura del corpo deve essere affiancata da quella della mente. Bisogna recuperare la parte psichica della persona, che troppo spesso viene tralasciata".

In che modo?
"Guardiamoci attorno: quante volte ci imbattiamo in strutture per anziani buie, poco arieggiate, con le luci al neon sempre accese anche quando fuori c’è il sole? Fortunatamente ora lavoro in una casa di cura ottima, ma nella mia carriera ne ho girate tante, e ne ho viste di tutti i colori. Una volta mi sono avvicinato a una finestra e ho cercato di alzare la tapparella. Mi è rimasta in mano la cinghia! Da quanto tempo quella finestra non veniva aperta? Ecco, è questo che deve essere cambiato: l’ambiente circostante, il rapporto con le persone. Quando un anziano sta bene con la mente e col cuore, oltre che con il corpo, migliora la propria vita, e quella di chi gli sta attorno".

Quindi, concretamente, cosa suggerisce?
"Lavoro a stretto contatto con gli anziani da oltre 30 anni, e da dieci ho sposato la causa della psicodanzaterapia. L’ho conosciuta nel 1999 durante un convegno in Svizzera, e in questi anni sto cercando di promuoverla insieme a due grandi specialisti: Nuccia Spagnolo, psicologa e psicoterapeuta, e Giacomo Coppola, psicologo e psicoterapeuta della famiglia. Insieme abbiamo formato un team con un unico obiettivo: far danzare la mente e il cuore. E’ questo infatti lo scopo della psicodanzaterapia: creare un ponte fra la danza e la medicina, per tirare fuori quelle emozioni e quei ricordi che gli anziani hanno coltivato durante la loro vita, e che nella vecchiaia si assopiscono quasi fino a sparire".

Come funziona?
"Lo dice la parola stessa. ‘Psico’, significa che si va a lavorare sulle emozioni, sui ricordi. ‘Danza’, poichè ci si avvale del balletto, che è un linguaggio universale, comprensibile per tutti. E ‘terapia’, ovvero si tratta di una cura, ben lontana dal semplice intrattenimento. La psicodanzaterapia prevede la realizzazione di spettacolini di danza, portati in scena da ragazzi giovani, davanti a una platea di anziani. I movimenti del corpo, basati su un copione semplice, che si rifà spesso alle favole popolari e contadine, risvegliano negli anziani i sapori di un tempo, i ricordi di quando erano giovani, di quando in campagna rincorrevano le contadine. Insomma, risvegliano in loro la voglia di vivere. E lo si vede dai loro visi, dall’espressione degli occhi che cambia. Ricordo che una volta, dopo una seduta, un signore molto vecchio, abituato a stare sempre zitto e in disparte, si è alzato in piedi in mezzo a tutti e ha iniziato a raccontare una filastrocca che aveva imparato da ragazzo. Si lavora insomma sui ricordi, sulle emozioni. E poi sono gli anziani stessi che possono partecipare con la realizzazione dei costumi o con l’invenzione delle storie da portare in scena. Inoltre c’è un altro elemento importante: il coinvolgimento dei giovani. Indispensabili per portare allegria".

E’ una terapia che può essere applicata anche a particolari malattie, come ad esempio l’Alzheimer?
"Certo. Chiariamoci: non sono gli anziani che devono ballare. Loro sono gli spettatori di una favola danzata che risveglia in loro la voglia di vivere. E’ il recupero della parte psichica della persona, che è stata abbandonata dalla medicina. E’ una tecnica che può andare bene per tutti: anche per i diversamente abili, i tossici e i ciechi".

Quali difficoltà si incontrano?
"Purtroppo non riusciamo a dare grossa continuità a questa terapia. La facciamo quando possiamo, ma le istituzioni non ci danno la possibilità concreta di metterla in pratica in maniera continuativa. Non c’è la voglia di trovare le risorse economiche. Il mio sogno è che siano le istituzioni stesse a farsi carico di questa terapia. La medicina fa miracoli, ma se viene trascurata la psiche è una sconfitta. Io non toglierò mai una pillola in caso di bisogno. Cerco solamente di dare qualcosa in più delle semplici cure mediche".

di Lucia Bellinello

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